Ma gli assiomi stessi non hanno evidenza diretta maggiore d'ogni altro teorema geometrico, bensì soltanto maggiore semplicità a causa del minor contenuto.
Se si interroga un delinquente, si stende un verbale delle sue dichiarazioni, per giudicarne la verità dalla loro concordanza. Ma questo è un semplice espediente, del quale certo non ci si appagherebbe, se si potesse indagare a parte la verità di ciascuna delle sue dichiarazioni: tanto più ch'egli potrebbe mentire con conseguenza dal principio alla fine. Eppure è proprio con quel primo metodo, che Euclide ha indagato lo spazio. È vero ch'egli partì in ciò dalla giusta premessa che la natura dappertutto – e quindi anche nella sua forma principale, lo spazio – dev'esser conseguente, e quindi – perché le parti dello spazio stanno reciprocamente in relazione di causa ed effetto – neppure una determinazione spaziale può esser diversa da quel che è, senza trovarsi in contraddizione con tutte le altre. Ma questo è un deviar dalla via diritta, molesto e poco soddisfacente; che preferisce la conoscenza mediata a quella – altrettanto certa – immediata; e con danno grave della scienza separa la cognizione che qualcosa esista, da quella del perché esista. E, infine, impedisce del tutto al discepolo la penetrazione nelle leggi dello spazio, anzi, lo distoglie dalla vera e propria indagine del fondamento e dell'intimo nesso delle cose, avviandolo invece a contentarsi d'un sapere storico, che la cosa stia in un certo modo. L'esercizio d'acume mentale, tanto incessantemente vantato in questo metodo, consiste solo in ciò, che lo scolaro si esercita a sillogizzare, ossia a usare il principio di contraddizione; ma soprattutto affatica la propria memoria, per ritenere quei dati dei quali deve giudicare l'accordo.
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Euclide
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