Perciò non ho che poco da dire qui ancora sull'effettivo influsso che la ragione – nel vero senso della parola – ha sull'azione. Già sul principio del nostro esame della ragione abbiamo in generale osservato quanto la condotta dell'uomo si distingua da quella dell'animale, e come codesta distinzione sia unicamente da considerare come dovuta alla presenza di concetti astratti nella coscienza. L'influsso di questi su tutto il nostro essere è così penetrante e significativo, che in certo modo ci pone davanti agli animali nella stessa situazione, in cui si trovano gli animali veggenti in confronto di quelli privi della vista (alcune larve, vermi e zoofiti). Questi ultimi conoscono solo mediante il tatto ciò, che si trova nello spazio immediatamente presso di loro, e li tocca; mentre i veggenti dispongono di un'ampia sfera da presso e da lungi. Similmente l'assenza della ragione limita gli animali alle rappresentazioni intuitive, ossia agli oggetti reali, che son loro immediatamente presenti nel tempo: mentre noi, grazie alla conoscenza in abstracto, abbracciamo, di là dal ristretto presente della realtà, anche tutto il passato ed il futuro, oltre l'ampio dominio della possibilità; noi dominiamo con lo sguardo la vita, liberi da ogni parte, fino a grandissima distanza dal presente e dalla realtà. Quel che l'occhio è nello spazio, e per la conoscenza sensibile, è in certo modo la ragione nel tempo, e per la conoscenza interiore. Ma, come la visibilità degli oggetti ha valore e significato solo perché ne denota la tangibilità, così sempre l'intero valore della conoscenza astratta consiste nella sua relazione con la conoscenza intuitiva.
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