L'uomo con ciò sta rispetto all'animale, come il navigatore, il quale con l'aiuto della carta di navigazione, della bussola e del quadrante sappia con precisione il suo percorso ad ogni punto del mare, sta rispetto alla ciurma ignara, la quale non vede che le onde e il cielo. Ne consegue un fatto notevole, anzi mirabile: che l'uomo, accanto alla propria vita in concreto, ne conduce una seconda in abstracto. Nella prima è dato in balia a tutte le tempeste della realtà e all'influenza del presente: deve lottare, soffrire, morire come l'animale. Ma la sua vita in abstracto, qual'essa sta davanti alla sua ragionante riflessione, è quel disegno ridotto, qui sopra accennato. Quivi, nel dominio della pacata meditazione, gli appare freddo, incolore ed estraneo al momento presente ciò, che colà tutto lo possiede e violentemente lo agita: quivi egli è un semplice spettatore ed osservatore. In codesto ritrarsi nella riflessione egli rassomiglia ad un attore, il quale ha recitato la sua scena, e, fino al momento di ricomparire, prende posto fra gli spettatori; donde contempla indifferente qualunque cosa possa accader nel dramma, foss'anche la preparazione della propria morte. Poi, al momento dato, torna sulla scena e agisce e soffre come deve. Da questa doppia vita sorge quell'umana calma – tanto diversa dall'animale spensieratezza – con la quale taluno per ben ponderata riflessione, per una risoluzione presa o una riconosciuta necessità, lascia freddamente venir su di sé o compie egli medesimo cose per lui essenzialissime, spesso terribili: suicidio, supplizio, duello, temerità mortali d'ogni specie e, in genere, cose contro le quali si ribella tutta la sua natura animale.
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