Codesta contraddizione si rivela già in quell'etica della ragione pura, pel fatto che lo Stoico è costretto ad intercalare nel suo avviamento ad una vita felice (e tale rimane pur sempre la sua etica) la raccomandazione del suicidio – come nel sontuoso corredo dei depositi orientali si trova anche una preziosa fiala di veleno – per il caso che i dolori del corpo, i quali non si lasciano sopprimere da nessun principio o ragionamento filosofico, prendano il sopravvento e siano incurabili. Allora il fine unico – la felicità – viene a mancare; e per sottrarsi al patimento, non altro rimane che la morte, la quale va presa in tal caso indifferentemente, come una medicina. Qui si fa manifesta una forte opposizione fra l'etica stoica e quelle altre sopra citate, le quali pongono a scopo della vita la virtù in se stessa, direttamente, anche fra le più penose sofferenze; né ammettono che per sottrarsi ai patimenti si dia termine alla vita – sebbene nessuna di loro abbia saputo esprimere il vero argomento contro il suicidio, e tutte invece siano venute accozzando faticosamente motivi illusori. Nel quarto libro quell'argomento risulterà in relazione col nostro sistema. Ma il contrasto su riferito palesa e conferma appunto il dissidio essenziale e fondamentale tra la Stoa, che in sostanza non è se non una particolar forma d'eudemonismo, e quelle dottrine citate; sebbene l'una e le altre s'accordino spesso nei risultati, ed abbiano un'apparente parentela. La surriferita contraddizione inerente all'etica stoica, perfino nel suo pensiero sostanziale, si mostra inoltre anche in questo: che il suo ideale, il Sapiente stoico, non potè neppur da lei medesima rappresentato, conseguir mai vita, o intima poetica verità; bensì rimane un legnoso, rigido fantoccio, del quale non si sa cosa fare, che non sa egli stesso dove voglia andare con la sua saggezza; e la cui calma perfetta, contentezza, felicità stanno in aperto contrasto con la natura umana, né possono darci di sé una rappresentazione intuitiva.
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