In caso contrario, vedrebbe la propria condotta regolarsi con la costanza d'una legge naturale sui motivi che le si offrono, proprio come le modificazioni degli altri oggetti sono regolate da cause, stimoli, motivi. Ma non comprenderebbe l'influsso dei motivi meglio di quanto comprenda il nesso di ogni altro effetto, a lui visibile, con la causa rispettiva. All'intima, per lui incomprensibile essenza di quelle manifestazioni ed operazioni del suo corpo, egli seguiterebbe allora a dare i nomi di forza, qualità, carattere, a piacere: e non vedrebbe più addentro. Ma le cose non stanno così: al soggetto conoscente, che appare come individuo, è data la parola dell'enigma; e questa parola è volontà. Questa, e questa sola, gli da la chiave per spiegare il suo proprio fenomeno, gli manifesta il senso, gli mostra l'intimo congegno del suo essere, del suo agire, dei suoi movimenti. Al soggetto della conoscenza, il quale per la sua identità col proprio corpo ci si presenta come individuo, questo corpo è dato in due modi affatto diversi: è dato come rappresentazione nell'intuizione dell'intelletto, come oggetto fra oggetti, e sottomesso alle leggi di questi; ma è dato contemporaneamente anche in tutt'altro modo, ossia come quell'alcunché direttamente conosciuto da ciascuno, che la parola volontà esprime. Ogni vero atto della sua volontà è immediatamente e ineluttabilmente anche un moto del suo corpo: egli non può voler davvero l'atto, senz'accorgersi insieme ch'esso appare come movimento del corpo.
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