L'atto volitivo e l'azione del corpo non sono due diversi stati conosciuti oggettivamente, che il vincolo della causalità collega; non stanno fra loro nella relazione di causa ed effetto: bensì sono un tutto unico, soltanto dati in due modi affatto diversi, nell'uno direttamente, e nell'altro mediante l'intuizione per l'intelletto. L'azione del corpo non è altro, che l'atto del volere oggettivato, ossia penetrato nell'intuizione.
Nel seguito vedremo, che ciò vale per ogni movimento del corpo, non solo per quelli provocati da motivi, ma anche per quelli arbitrarii provocati da semplici stimoli; vedremo, anzi, che il corpo intero non è altro se non la volontà oggettivata, ossia divenuta rappresentazione – tutte cose che risulteranno e appariranno evidenti dalla successiva trattazione. Chiamerò dunque qui il corpo, sotto questo punto di vista, l'obiettità della volontà; mentre nel libro precedente e nella memoria sopra il principio di ragione l'avevo chiamato – secondo il punto di vista colà assunto intenzionalmente (quello dell'intuizione) – l'oggetto immediato. In un certo senso si può quindi anche dire: la volontà è la conoscenza a priori del corpo, e il corpo la conoscenza a posteriori della volontà. Decisioni della volontà, riferentisi anche al futuro, sono semplici riflessioni della ragione su ciò che si vorrà che allora avvenga, e non veri e proprii atti volitivi: soltanto l'attuazione suggella la risoluzione, che, finché non sia attuata, è ancor sempre un proposito soggetto a variare, ed esiste soltanto nella ragione, in abstracto.
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