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      Nella semplice riflessione, volere ed agire sono distinti: nella realtà sono tutt'uno. Ogni vero, genuino, immediato atto volitivo è subito e direttamente anche un visibile atto del corpo: e corrispondentemente, d'altra parte, ogni azione sul corpo, subito e direttamente, è anche azione sulla volontà; come tale si chiama dolore, se ripugna alla volontà; benessere, piacere, se è a questa conforme. Assai diverse sono le gradazioni del dolore e del piacere. Ma si ha pieno torto, se si dà il nome di rappresentazioni al dolore ed al piacere, che non sono punto tali, bensì affezioni dirette della volontà nella sua manifestazione fenomenica, ch'è il corpo: un forzato, istantaneo volere o non volere l'impressione, che questo subisce. Sono da considerar semplici rappresentazioni, e vanno quindi eccettuate da quanto or ora s'è detto, soltanto alcune poche impressioni corporee che non eccitano la volontà, e per le quali il corpo diventa immediato oggetto della conoscenza, mentre come intuizione è già oggetto mediato nell'intelletto, al pari di tutti gli altri oggetti. S'intendono con ciò le affezioni dei sensi puramente oggettivi: della vista, dell'udito e del tatto; e solo in quanto codesti organi sono impressionati nella maniera specialmente caratteristica, specifica, naturale di ciascuno. Codesta è un'impressione così estremamente debole della sensibilità aumentata e specificamente modificata di tali organi, da non toccare la volontà; e, non turbata da nessuna eccitazione di quest'ultima, non fa che fornire all'intelletto i dati dai quali nasce l'intuizione.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254