Qui da una parte presuppongo nota la dottrina kantiana del carattere empirico ed intelligibile, come anche il chiarimento ch'io ne diedi nei miei Problemi fondamentali dell'etica, pp. 48-58, e p. 178 sgg. della prima edizione; per altra parte avremo a discorrere ampiamente di ciò nel quarto libro. Per ora ho solo richiamato l'attenzione sul fatto, che l'essere un fenomeno fondato sull'altro (in questo caso dunque l'azione sul motivo) non esclude punto che la sua essenza sia, in sé, volontà; la quale non ha alla sua volta nessun fondamento, perché il principio di ragione in tutte le sue applicazioni è semplice forma della conoscenza, ed estende la sua validità alla sola rappresentazione, ch'è il fenomeno, la visibilità del volere, ma non al volere medesimo, che diventa visibile.
Ora, se ogni azione del mio corpo è fenomeno di un atto volitivo, nel quale, in seguito a determinati motivi, si riflette la mia volontà genericamente ed in complesso, ossia il mio carattere; dev'esser anche condizione e premessa immancabile d'ogni azione un fenomeno della volontà. Imperocché il fenomeno della volontà non può dipendere da qualche cosa che non esista direttamente e per solo mezzo di lei, che sia rispetto a lei dovuto al solo caso, sì che diverrebbe semplicemente casuale anche il fenomeno stesso: ma quella condizione è il corpo intero. Il corpo deve dunque già essere fenomeno della volontà, e comportarsi di fronte alla mia volontà generica, – ossia al mio carattere intelligibile, del quale è fenomeno nel tempo il mio carattere empirico – come la singola azione del corpo si comporta di fronte al singolo atto della volontà. Dunque, non deve tutto il corpo essere altro che la mia volontà, diventata visibile; dev'essere la mia volontà stessa, in quanto questa è oggetto intuitivo, rappresentazione della prima classe.
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