Cosa in sé invece è solamente la volontà: ella, come tale, non è punto rappresentazione, bensì qualcosa toto genere differente da questa: ogni rappresentazione, ogni oggetto, è fenomeno, estrinsecazione visibile, obiettità di lei. Ella è l'intimo essere, il nocciolo di ogni singolo, ed egualmente del Tutto: ella si manifesta in ogni cieca forza naturale; ella anche si manifesta nella meditata condotta dell'uomo. La gran differenza, che separa la forza cieca dalla meditata condotta, tocca il grado della manifestazione, non l'essenza della volontà che si manifesta.
§ 22.
Questa cosa in sé (vogliamo mantener come formula fissa l'espressione di Kant), che in quanto tale non è mai oggetto, appunto perché ogni oggetto è invece semplice fenomeno di quella, e non è più lei medesima, doveva, per poter esser nondimeno pensata oggettivamente, prendere a prestito nome e concetto da un oggetto, da alcunché oggettivamente dato, quindi da uno dei suoi fenomeni. Ma questo, per servir di mezzo di comprensione, non poteva esser altro se non il più perfetto di tutti i fenomeni, ossia il più chiaro, il più sviluppato, dalla conoscenza direttamente illuminato: la volontà umana. Bisogna tuttavia osservare, che qui usiamo invero solo una denominatio a potiori, mediante la quale, appunto perciò, il concetto di volontà acquista una ampiezza maggiore di quella finora avuta. Conoscenza dell'identico in fenomeni diversi, e del diverso nell'identico è, come spesso nota Platone, condizione per far della filosofia.
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Kant Platone
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