La chiave per l'intendimento delle cose nella loro sostanza in sé – chiave che sola poteva darci l'immediata cognizione della nostra propria essenza – dobbiamo ora applicarla anche a questi fenomeni del mondo inorganico, che sono i più remoti da noi stessi. Ora, se noi li osserviamo con occhio indagatore; se vediamo il veemente, incessante impeto, con cui le acque precipitano verso il profondo; la costanza, con cui il magnete torna sempre a volgersi al polo; lo slancio, con cui il ferro corre alla calamita; la vivacità, con cui i poli elettrici tendono a congiungersi, vivacità che viene aumentata dagli ostacoli, proprio come accade ai desideri umani; se vediamo il cristallo formarsi quasi istantaneamente, con tanta regolarità di conformazione, la quale evidentemente è solo una risoluta e precisa tendenza verso differenti direzioni, irrigidita e fissata d'un tratto; se osserviamo la scelta, con cui i corpi sottratti ai vincoli della solidità, e fatti liberi dallo stato liquido, si cercano, si sfuggono, si congiungono, si separano; se infine sentiamo direttamente che un peso, la cui tendenza verso terra sia trattenuta dal nostro corpo, grava e preme incessantemente su di questo, seguendo la propria unica tendenza; – non ci costerà un grande sforzo di fantasia il riconoscere, anche a sì gran distanza, la nostra medesima essenza: quella stessa, che in noi opera secondo i suoi fini alla luce della conoscenza, mentre qui, nei più deboli de' suoi fenomeni, opera in modo cieco, sordo, unilaterale ed invariabile.
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