E che cosa sarebbero in questo senso? Che cos'è quell'altro loro aspetto, toto genere diverso dalla rappresentazione? Che è mai la cosa in sé? La volontà: è stata la nostra risposta, che tuttavia per ora metto in disparte.
Checché sia la cosa in sé, Kant ha giustamente stabilito che tempo, spazio e causalità (riconosciuti in seguito da noi come varietà del principio di ragione, il quale fu alla sua volta riconosciuto come espressione generale delle forme del fenomeno) non sono sue determinazioni, ma le vengono attribuiti solo e in quanto la cosa in sé è divenuta rappresentazione; ossia appartengono solo al suo fenomeno, e non a lei medesima. Invero, poiché il soggetto li conosce e costruisce da sé, indipendenti da ogni oggetto, debbono quelli essere inerenti all'atto di rappresentare in quanto è tale, e non a ciò che diventa rappresentazione. Debbono esser la forma della rappresentazione come tale, e non proprietà di ciò che ha assunto questa forma. Debbono già esser dati con la semplice contrapposizione di soggetto ed oggetto (non nel concetto, bensì nel fatto); debbono quindi esser soltanto la precisa determinazione della forma della conoscenza in genere; della quale codesta contrapposizione è appunto la determinazione più generale. Ora, ciò che nel fenomeno, nell'oggetto, è sotto condizione del tempo, dello spazio e della causalità, in quanto sol per loro mezzo può venir rappresentato – ossia pluralità, per mezzo di giustapposizione e successione; mutamento e durata, per mezzo della legge di causalità e della materia, la quale è rappresentabile unicamente sotto condizione della causalità; e infine quant'altro non si può rappresentare senza cotali forme – tutto ciò, in complesso, non è proprio essenzialmente di quello che apparisce, che è passato nella forma della rappresentazione: bensì è inerente solo a questa forma medesima.
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Kant
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