§ 25.
Sappiamo che la pluralità in genere è necessariamente determinata da tempo e spazio, e può esser pensata solo in questi, che noi per tal rispetto chiamiamo prindpium individuationis. Ma tempo e spazio abbiamo conosciuti come forme del principio di ragione, nel qual principio si esprime tutta la nostra conoscenza a priori. E questa, come abbiamo più sopra spiegato, appunto in quanto tale, si riferisce solo alla conoscibilità delle cose, non alle cose stesse; ossia è solamente la nostra forma di conoscenza, non proprietà della cosa in sé. La cosa in sé, in quanto tale, è libera da ogni forma della conoscenza, anche da quella più generale dell'essere oggetto per il soggetto; ossia è qualcosa d'affatto diverso dalla rappresentazione. Ora, se la cosa in sé, com'io credo d'aver sufficientemente provato e reso chiaro, è la volontà; questa, considerata in quanto tale e isolata dal suo fenomeno, sta dunque fuori del tempo e dello spazio, e non conosce quindi alcuna pluralità: essa è una. Non tuttavia, secondo ho già detto, com'è uno un individuo o un concetto: bensì come alcunché, a cui sia estranea la condizione della pluralità possibile, il principium individuationis. La pluralità delle cose nello spazio e nel tempo, che insieme formano la sua obiettità, non tocca perciò la volontà; e questa rimane, senza riguardo a quelli, indivisibile. Né per avventura è una minor parte di lei nella pietra, una maggiore nell'uomo: imperocché il rapporto di parte e di tutto appartiene esclusivamente allo spazio, e non ha più senso quando si prescinda da codesta forma d'intuizione.
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