Questa concezione s'accorda pienamente con la congettura che gli astronomi fanno d'un sole centrale, come anche con l'avvertito spostarsi di tutto il nostro sistema solare, e forse dell'intero gruppo stellare cui il nostro sole appartiene; dal che si può da ultimo dedurre un generale spostamento di tutte le stelle fisse, insieme col sole centrale. Tale spostamento perde, a dir vero, ogni significato nello spazio infinito (perché nello spazio assoluto non si distingue moto da riposo); e così appunto diventa – com'era già direttamente per il suo agitarsi e correre senza mèta – l'espressione di quel nulla, di quella mancanza d'un fine ultimo, che noi dovremo riconoscere alla volontà, in tutte le sue manifestazioni, nel concludere quest'opera. Dovevano quindi essere appunto spazio infinito e tempo infinito le più generali ed essenziali forme del complessivo manifestarsi della volontà, come quelle che ne esprimono l'essenza intera. La lotta, da noi presa a considerare, di tutti i fenomeni fra loro, si può riconoscer perfino nella semplice materia in quanto tale, nei limiti in cui la sua essenza fu giustamente formulata da Kant come forza di repulsione e di attrazione; sì che anch'essa ha esistenza soltanto in una lotta di forze contrastanti. Se facciamo astrazione da ogni varietà chimica della materia, o risaliamo tanto lungi la catena delle cause e degli effetti da non trovar più alcuna differenza chimica, ci rimane la pura materia, il mondo conglobato in una sfera; la cui vita, ossia obiettivazione della volontà, è costituita da quella battaglia tra forza d'attrazione e di repulsione: la prima come gravità, da tutte le parti spingendo verso il centro, l'altra resistendo alla prima come impenetrabilità, sia mediante solidità sia mediante elasticità. Codesto perenne premere e resistere può esser considerato come l'obiettità della volontà nel suo infimo grado, e pur già esprimere il carattere di questa.
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Kant
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