Kant dirà su per giù: «Questo animale è un fenomeno nel tempo, nello spazio e nella causalità, che sono tutte condizioni a priori dell'esperienza possibile giacenti nella nostra facoltà conoscitiva, non già determinazioni della cosa in sé. Perciò quest'animale, sì come noi lo vediamo in un tempo determinato, in un dato luogo, quale individuo formatosi nella connessione dell'esperienza, ossia nella catena di causa ed effetto, e necessariamente perituro, non è punto cosa in sé, ma soltanto un fenomeno che non vige se non in modo relativo alla nostra conoscenza. Per conoscer ciò che l'animale può essere in se medesimo, e quindi indipendentemente da tutte le determinazioni riferentisi al tempo, allo spazio e alla causalità, si richiederebbe un modo di conoscenza diverso da quell'unico a noi reso possibile dai sensi e dall'intelletto».
Per avvicinare ancor più la formula kantiana alla platonica, si potrebbe anche dire: tempo, spazio e causalità sono quella disposizione del nostro intelletto, in grazia della quale l'unico essere di ogni specie che effettivamente esiste ci si presenta come una pluralità di individui della specie medesima, sempre da capo nascenti e morienti, in successione infinita. La percezione delle cose per mezzo e in conformità della suddetta disposizione è l'immanente; mentre quella, che si rende consapevole del come sta veramente la cosa, è la trascendentale. Questa la si riceve in abstracto mediante la critica della ragion pura: ma in via d'eccezione può anche stabilirsi intuitivamente.
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