S'è riconosciuto come parte essenziale della genialità la fantasia, anzi talora la si è tenuta identica a quella: nel primo caso con ragione, a torto nel secondo. Imperocché oggetti del genio in quanto tale sono le eterne idee, le permanenti essenziali forme del mondo e di tutti i suoi fenomeni; ma la conoscenza dell'idea è, per necessità, intuitiva, non astratta: in tal modo sarebbe la conoscenza del genio limitata alle idee degli oggetti effettivamente presenti alla sua persona, e dipendenti dalla catena delle circostanze che a lui lì condussero, se la fantasia non allargasse il suo orizzonte molto di là dalla realtà della sua personale esperienza e non lo ponesse in grado di ricostruire, dal poco che è venuto nella sua effettiva appercezione, tutto il rimanente; e così far passare davanti a sé quasi tutte le possibili immagini della vita. Inoltre, gli oggetti reali quasi sempre non sono che manchevoli esemplari dell'idea in loro manifestantesi: quindi il genio ha bisogno della fantasia, per veder nelle cose non ciò che la natura ha in effetti formato, bensì ciò ch'ella si sforzava di formare, ma che a causa della lotta – nel precedente libro ricordata – delle sue forme tra loro, non è riuscita a compiere. Torneremo su questo proposito in seguito, trattando della scultura. La fantasia allarga dunque la cerchia visuale del genio oltre gli oggetti offrentisi in realtà alla sua persona; e l'allarga sia per la qualità che per la quantità. Quindi una non comune forza della fantasia è compagna, anzi condizione della genialità. Invece, quella non è prova di questa; anzi, possono anche uomini tutt'altro che geniali aver molta fantasia.
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