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      Perciò si sbriga di tutto così alla svelta: di opere d'arte, di belli oggetti naturali, e dell'ognora significante spettacolo della vita in tutte le sue scene. Egli non s'indugia: cerca soltanto la sua strada nella vita, o anche, per ogni caso, tutto ciò che potrebbe essere un giorno la sua strada, ossia cerca notizie topografiche nel senso più ampio della parola: con l'osservazione della vita stessa come tale non sta a perder tempo. L'uomo geniale invece, la cui forza conoscitiva si sottrae, per la propria prevalenza, al servizio della sua volontà, si trattiene a considerar la vita per se stessa, si sforza di raggiunger l'idea d'ogni cosa, e non già le relazioni di ciascuna con le altre: perciò trascura sovente la considerazione del suo proprio cammino nella vita, e lo percorre quindi il più delle volte in modo abbastanza maldestro. Mentre per l'uomo comune il proprio patrimonio conoscitivo è la lanterna, che illumina la strada, esso è per l'uomo geniale il sole, che disvela il mondo. Questa sì dissimile maniera di guardar dentro alla vita, si fa presto visibile perfino dall'apparenza esterna dei due. Lo sguardo dell'uomo, in cui il genio vive e opera, fa distinguere costui facilmente, perché, vivace e fermo insieme, ha il carattere della contemplazione; quale possiamo vedere nelle immagini delle poche teste geniali, che la natura ha di quanto in quanto prodotto fra gli innumeri milioni. Invece nell'occhio dell'altro – quando non sia, come è il più spesso, opaco o insignificante – si osserva facilmente il vero contrapposto della contemplazione: il cercare.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368