o della propria memoria, riempie le lacune con chimere, e da un dolore intellettuale, che soverchia le sue forze, si rifugia nella follia – come si amputa un membro preso dalla cancrena e lo si sostituisce con altro di legno. Per esempio si consideri Aiace furioso, il re Lear e Ofelìa: imperocché le creature del genio vero, che sole si possono qui allegare, essendo a tutti note, sono per la lor verità da tenersi come persone reali; e d'altronde in ciò dimostra esattamente lo stesso anche la frequente esperienza effettiva. Una lontana somiglianza con quella maniera di passaggio dal dolore alla follia si scorge nel cercare che tutti spesso facciamo, di allontanare quasi meccanicamente un penoso ricordo, il quale improvviso ci sopravvenga, con una qualsiasi esclamazione o con un movimento, distogliendo noi stessi di là, distraendocene con violenza.
Se vediamo adunque il folle ben conoscere, nel modo indicato, il singolo presente, e anche qualche singolo passato, ma misconoscerne le relazioni e quindi errare e farneticare, proprio in ciò è il suo punto di contatto con l'individuo geniale. Imperocché anche il geniale, tralasciando la conoscenza delle relazioni conforme al principio di ragione, per vedere e cercar nelle cose soltanto l'idea loro, afferrare la lor vera essenza come intuitivamente gli si rivela (per la quale essenza un oggetto rappresenta tutta intera la sua specie, sì che, dice Goethe, un caso vale per mille), – anche il geniale perde con ciò di vista la conoscenza del nesso che lega le cose: il singolo oggetto della sua contemplazione, oppure il presente, da lui con eccessiva vivezza percepito, gli appariscono in così chiara luce, che i rimanenti anelli della catena a cui quelli appartengono vengono di conseguenza a trovarsi nell'ombra; la qual cosa produce fenomeni, che hanno con quelli della follia una somiglianza da tempo riconosciuta.
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