Che noi andiamo in caccia o in fuga; che temiamo sventura o ci affatichiamo per la gioia, è in sostanza tutt'uno; la preoccupazione della volontà ognora esigente, sotto qualsivoglia aspetto, empie e agita perennemente la conscienza; e senza pace nessun benessere è mai possibile. Così posa il soggetto del volere senza tregua sulla volgente ruota d'Issione, attinge ognora col vaglio delle Danaidi, è l'eternamente struggentesi Tantalo.
Ma quando una causa esteriore, o un'interna disposizione ci trae all'improvviso fuori dall'infinita corrente del volere, e la conoscenza sottrae alla schiavitù della volontà, e quando l'attenzione non è più rivolta ai motivi del volere, bensì percepisce le cose sciolte dal loro rapporto col volere, ossia le considera senza interesse, senza soggettività, in modo puramente obiettivo, dandosi tutta ad esse, in quanto esse sono pure rappresentazioni e non motivi: allora sopravviene d'un tratto, spontaneamente, la pace ognora cercata sulla prima via, la via del volere, e ognora sfuggente; e noi ci sentiamo benissimo. È lo stato senza dolore, che Epicuro lodò come il massimo bene, e come condizione degli Dei: poiché noi siamo, per quell'istante, liberati dalla bassa ansia della volontà, celebriamo il sabba dei lavori forzati; e la ruota d'Issione si ferma.
Ed è questo appunto lo stato, ch'io ho descritto più sopra come necessario per la conoscenza dell'idea quale pura contemplazione, assorbimento nell'intuizione, smarrimento di sé nell'oggetto, oblio d'ogni individualità, abolizione della conoscenza che segue il principio di ragione e soltanto le relazioni afferra; è lo stato, in cui d'un subito e indissociabilmente s'innalza il singolo oggetto intuito all'idea della sua specie, e l'individuo conoscente a puro soggetto del conoscere fuori della volontà; sì che entrambi, in quanto tali, non stanno più nella corrente del tempo e di tutte le altre relazioni.
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