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      I più degli uomini, mancando loro affatto l'oggettità, ossia la genialità, stanno quasi sempre in questa condizione. Perciò non si trovano volentieri soli con la natura; abbisognano di compagnia, almeno quella d'un libro. Imperocché il lor conoscere rimane soggetto al volere: negli oggetti essi cercano quindi solamente un possibile rapporto con la propria volontà; e davanti a tutto ciò che tal rapporto non abbia, risuona nel loro intimo un perenne, sconsolato Non mi serve a nulla: dal che anche il più bello spettacolo di natura viene a prendere per essi nella solitudine una triste, sinistra, ostile apparenza.
      Finalmente è ancora quel senso beato dell'intuizione libera da volontà, che diffonde un sì mirabile incanto sul passato come sulla distanza, e ce li mostra in una luce che tanto li abbellisce, per effetto d'una nostra illusione. Quando ci rappresentiamo giorni da lungo tempo trascorsi, vissuti in un paese lontano, sono gli oggetti soltanto, che la fantasia nostra richiama, e non il soggetto della volontà, il quale trascinava con sé i suoi mali insanabili, allora come oggi; ma questi sono dimenticati, perché già sovente da quei giorni hanno fatto luogo ad altri mali. Così l'intuizione oggettiva agisce nel ricordo come agirebbe nel presente, qualora avessimo su di noi stessi la forza di abbandonarci a lei, liberi da volontà. Da ciò deriva, che specialmente quando una pena qualsiasi ci angoscia più del consueto, l'improvvisa memoria di scene passate e lontane ci balena come un paradiso perduto.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368