Ma, prima di volgerci a un più attento esame di quest'ultima, occorre indugiare ancora alquanto sull'aspetto soggettivo del piacere estetico, per compierne lo studio spiegando l'impressione del sublime, che da esso unicamente dipende, e da una modificazione di esso deriva. In seguito la nostra investigazione del piacere estetico raggiungerà, con l'esame del suo aspetto oggettivo, intera compiutezza.
A quanto abbiamo detto vanno aggiunte dapprima le osservazioni che seguono. La luce è la più rallegrante delle cose: è divenuta il simbolo di tutto ciò ch'è buono e salutare. In tutte le religioni indica la eterna salvezza, mentre l'oscurità indica dannazione. Ormuzd risiede in purissima luce, Ahriman in eterna notte. Il paradiso di Dante fa all'inarca l'effetto del Wauxhall di Londra, tutti gli spiriti beati apparendovi come punti luminosi, che si raccolgono in regolari figure. L'assenza della luce ci fa immediatamente tristi; il suo ritorno rallegra: i colori suscitano di per sé un vivo senso di piacere, che, quando sono trasparenti, raggiunge il massimo grado. Tutto ciò proviene esclusivamente dall'esser la luce il correlato e la condizione del più compiuto modo di conoscenza intuitiva, del solo, che direttamente non tocchi in nulla la volontà. Imperocché la vista non è punto, come l'affezione degli altri sensi, in sé immediatamente e per la propria azione sensitiva capace di sentire nell'organo un'impressione piacevole o spiacevole, ossia non ha alcun legame immediato con la volontà: ma solo può averlo l'intuizione che nell'intelletto ne deriva; e quel legame sta nel rapporto dell'oggetto con la volontà. Già nell'udito le cose vanno altrimenti: certi suoni possono direttamente produrre dolore, e anche direttamente, pel puro senso, non già rispetto all'armonia o alla melodia, essere piacevoli.
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