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      Codesta elevazione deve non soltanto esser guadagnata consapevolmente, ma anche conservata; l'accompagna quindi un continuo ricordo della volontà, ma non di un singolo, individuale volere, come sarebbe la paura o il desiderio, bensì il ricordo del volere umano in genere, in quanto esso è genericamente espresso per mezzo della sua oggettità, ossia del corpo umano. Qualora intervenga nella conscienza un reale, singolo atto di volontà, per effetto di una vera, personale angustia e d'un pericolo proveniente dall'oggetto, ecco l'individuale volontà effettivamente scossa prendere d'un subito il sopravvento, farsi impossibile la calma della contemplazione, andar perduta l'impressione del sublime; la quale cede il posto alla paura, in cui l'ansia, che l'individuo prova, per salvarsi, caccia ogni altro pensiero. Alcuni esempi gioveranno molto a chiarire e rendere indubitabile questa teoria del sublime estetico; in pari tempo mostreranno la varietà dei gradi nel sentimento del sublime. Imperocché, poi ch'esso è nella sua principal determinazione tutt'uno col sentimento del bello (determinazione che consiste nel puro conoscere libero da volontà e nella conoscenza necessariamente concomitante delle idee, le quali stanno fuor d'ogni relazione dominata dal principio di ragione); e dal sentimento del bello si distingue solo per un'aggiunta, ossia l'elevazione sopra il riconosciuto rapporto ostile dell'oggetto contemplato con la volontà in genere; nascono così – a seconda che tale aggiunta sia forte, chiara, insistente, vicina, oppure debole, lontana, appena accennata – più gradi del sublime: anzi, passaggi dal bello al sublime.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368