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      Chiamando bella una cosa, veniamo con ciò a dire che ella è oggetto della nostra contemplazione estetica; la qual cosa implica due fatti: da un lato, che la vista di quella ci renda obiettivi, ossia che noi nel contemplarla non siamo più consapevoli di noi stessi in quanto individui, bensì in quanto puro, libero da volontà soggetto del conoscere; e dall'altro lato, che nell'oggetto non la singola cosa, bensì conosciamo un'idea – il che può solo accadere fin quando la nostra contemplazione dell'oggetto non sia asservita al principio di ragione, non vada dietro al suo rapporto con qualcosa fuori di esso (rapporto ch'è sempre collegato a rapporti con la nostra volontà), bensì posi nell'oggetto medesimo. Imperocché l'idea e il puro soggetto del conoscere si presentano sempre insieme alla conscienza, come necessari correlati, e col loro presentarsi svanisce anche ogni differenza temporale, essendo entrambi affatto estranei al principio di ragione in tutte le sue forme, e stando fuori delle relazioni da esso determinate: paragonabili all'arcobaleno ed al sole, che nessuna parte hanno nel continuo moto e nella successione delle cadenti gocce. Quindi, se io a mo' d'esempio guardo un albero esteticamente, ossia con occhio artistico, e quindi non esso conosco, bensì la sua idea; perde subito ogni valore il saper se l'albero è questo o se è un suo florido antenato di mille anni innanzi, e così se chi l'osserva è questo o quell'individuo, quando che sia e dove che sia vissuto. Tolto il principio di ragione, son tolti anche l'oggetto singolo e il conoscente individuo; nulla rimane se non l'idea e il puro soggetto del conoscere, che insieme costituiscono l'adeguata oggettità della volontà in questo grado.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368