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      Quindi il carattere, pur essendo individuale, deve tuttavia esser colto e rappresentato idealmente, ossia mettendo in rilievo la sua significanza in rapporto con l'idea dell'umanità in genere (alla cui oggettivazione esso contribuisce a sua guisa): e oltre a ciò poi la rappresentazione è ritratto, riproduzione del singolo come tale, con tutte le sue accidentalità. Ma il ritratto medesimo dev'essere, come dice Winckelmann, l'immagine ideale dell'individuo.
      Quel carattere, da cogliersi idealmente, che è il rilievo di uno speciale aspetto dell'idea dell'umanità, si fa visibile nei transitori affetti e passioni, nelle reciproche alterne modificazioni del conoscere e del volere: cose tutte esprimentisi nel volto e nel movimento.
      Appartenendo ognora l'individuo all'umanità, e viceversa rivelandosi ognora l'umanità nell'individuo, anzi rivelandosi con la particolar significazione ideale di esso, non può né la bellezza esser cancellata dal carattere, né questo da quella: perché soppressione del carattere della specie a tutto vantaggio di quello individuale darebbe caricatura; e soppressione dell'individuale, per lasciare il solo carattere della specie, darebbe insignificanza. Dovrà quindi la rappresentazione, in quanto miri alla bellezza, – il che fa soprattutto la scultura – sempre modificar tuttavia quella (ossia il carattere della specie) in taluna cosa mediante il carattere individuale; e l'idea dell'umanità sempre esprimere in determinata, individuale maniera, rilevandone un particolare aspetto; imperocché l'umano individuo come tale ha la dignità di un'idea sua propria, ed all'idea dell'umanità è appunto essenziale il manifestarsi in individui di speciale significazione.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Winckelmann