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      Perciò nelle opere degli antichi troviamo, che la bellezza da loro limpidamente intuita non è espressa da una figura sola, ma da molte, aventi carattere diverso, quasi fosse colta sempre sotto un nuovo aspetto, e quindi altrimenti rappresentata in Apollo, altrimenti in Bacco, altrimenti in Ercole, altrimenti in Antinoo: anzi, il caratteristico può limitare il bello e addirittura arrivar fino alla bruttezza, nel Sileno ebbro, nel Fauno, e così via. Ma se il caratteristico perviene a sopprimer veramente il carattere della specie, ossia a toccare l'innaturale, diventa caricatura. Tuttavia molto meno ancora della bellezza deve la grazia venir sopraffatta dal caratteristico: qualunque posizione e movimento richieda l'espressione del carattere, devono tuttavia quelli esser presi o compiuti nel modo più adatto alla persona, più confacente allo scopo e più facile. Tale precetto osserverà non soltanto lo scultore e pittore, ma pur ciascun buon attore: in caso contrario, si ha anche qui caricatura, sotto forma di contorcimento, distorsione.
      Nella scultura rimangono bellezza e grazia la qualità essenziale. Il vero carattere dello spirito, rilevantesi in affetto, passione, giuoco alterno del conoscere e volere, rappresentabile solo mediante l'espressione del volto ed il gesto, è soprattutto privilegio della pittura. Perché sebbene occhi e colorito, – i quali stanno fuor del dominio della scultura – molto contribuiscano alla bellezza, ben più sono essenziali per il carattere. Inoltre la bellezza si dispiega più completamente a chi l'osservi da vari lati: mentre la espressione, il carattere, possono anche da un sol punto di vista essere compresi appieno.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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