VII, p. 98. Lo stesso più ampiamente, vol. VI, pp. 104 sg.). Ora, quest'opinione di Winckelmann criticò Lessing nel suo Laocoonte, e la corresse nel modo sopra indicato; il motivo psicologico sostituì col motivo, puramente estetico, che la bellezza – principio fondamentale dell'arte antica – non ammette la espressione del grido. Un altro argomento da lui addotto, che cioè uno stato affatto passeggero e incapace di durata non si possa esprimere in un'immobile opera d'arte, ha contro di sé cento esempi di figure ammirabili le quali sono fissate in movimenti più che fuggitivi, danzando, lottando, inseguendo. Anzi, Goethe nel suo scritto sul Laocoonte, che inizia i Propilei (p. 8), tiene la scelta d'un tal momento affatto fuggitivo per addirittura indispensabile. A' nostri giorni Hirt (Horen, 1797, X), tutto riducendo alla massima verità dell'espressione, concluse nel senso che Laocoonte non grida, perché, già in procinto di morir soffocato, non può più gridare. Da ultimo Fernov (Römische Studien, vol. I, pp. 426 sg.) ha illustrato e pesato le tre opinioni precedenti, senza tuttavia recarne alcuna nuova; ma quelle tre componendo e unificando.
Non posso a meno di stupirmi, che sì riflessivi e acuti uomini faticosamente vadano a cercar lontano ragioni inadeguate, s'afferrino ad argomenti psicologici, o addirittura fisiologici, per chiarire un fatto, la cui ragione è ben prossima e subito palese ad uno spirito spregiudicato, – e stupirmi soprattutto che Lessing, il quale tanto s'appressò alla giusta spiegazione, non abbia poi colto per nulla nel segno.
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