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      ecchio del proprio spirito l'idea, e la raffigurazione, ch'egli ne da, è, fino ai minimi particolari, vera come la vita stessa25.
      I grandi storici antichi sono perciò, quando pongono in disparte gli elementi di fatto, per esempio, nei discorsi dei loro eroi, poeti; ed anzi tutta la loro trattazione della materia tiene dell'epico: ciò che per l'appunto dà unità ai loro racconti, e fa che questi contengano la verità interna pur là dove l'esterna non era agli storici accessibile, o addirittura era falsata. E se dianzi paragonammo la storia al ritratto, in opposizione alla poesia che corrisponderebbe alla pittura storica, troviamo che la massima di Winckelmann, dovere il ritratto esser l'ideale dell'individuo, fu seguita pur dagli antichi storici, rappresentando essi il singolo in modo che ne risultasse l'idea dell'umanità dentro esprimentevisi: mentre i moderni, pochi eccettuati, non offrono di solito che «un cesto di spazzatura e un ripostiglio d'oggetti fuori uso, e al più affari capitali e di stato». A quegli adunque, che vuol conoscere l'umanità nella sua intima essenza, identica in tutti i fenomeni e svolgimenti, nella sua idea, offriranno le opere dei grandi, immortali poeti un quadro ben più fedele e limpido che non possano gli storici offrirgli: imperocché anche i migliori tra questi sono lungi dall'esser come poeti i primi, e inoltre non hanno la mano libera. Il loro reciproco rapporto, sotto questo rispetto, può ancora esser chiarito dal paragone che segue. Lo storico semplice, puro, che non lavora se non sui dati, somiglia a taluno, che, senza conoscere punto la matematica, da figure per caso ritrovate calcola, misurando, i rapporti loro, venendo a un risultato empirico cui sono inerenti tutti gli errori della disegnata figura: mentre il poeta somiglia al matematico, che quelle relazioni costruisce a priori, in pura intuizione, e li manifesta non quali sono effettivamente nella figura disegnata, ma quali nell'idea ond'è immagine sensibile il disegno.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Winckelmann