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      Ella è staccata da tutte le altre. In lei non conosciamo l'immagine, la riproduzione d'una qualsiasi idea degli esseri che sono al mondo; eppure ell'è una sì grande e sublime arte, sì potentemente agisce sull'intimo dell'uomo, sì appieno e a fondo vien da questo compresa, quasi lingua universale più limpida dello stesso mondo intuitivo; – che in lei di certo dobbiamo cercar ben più dell'exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi, qual fu dichiarata da Leibniz33. E questi ebbe nondimeno ragione, in quanto ne guardò soltanto l'immediata ed esterna significazione, la scorza. Ma se non fosse nulla di più, dovrebbe la soddisfazione, ch'ella ci arreca, somigliare a quella che noi troviamo nella giusta soluzione d'un problema di calcolo; e non sarebbe punto quell'intima gioia, con la quale noi vediamo fatto parlante il più segreto recesso del nostro essere. Dal nostro punto di vista, adunque, dobbiamo riconoscere alla musica un significato ben più grave e profondo, riferentesi alla più interiore essenza del mondo e del nostro io; rispetto alla quale le relazioni di numeri, in cui quella si lascia scomporre, stanno non già come la cosa significata, ma appena come il segno significante. Che la musica debba stare al mondo, in un senso qualsiasi, come rappresentazione sta al rappresentato, come immagine all'originale, possiamo dedurre dall'analogia delle altre arti, alle quali tutte appartiene questo carattere, e la cui azione su di noi ha la stessa natura di quella della musica, ma solo è quest'ultima più forte, più rapida, più necessaria, più infallibile.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Leibniz