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      In tutta questa trattazione intorno alla musica mi sono sforzato di render chiaro, come ella in un linguaggio universalissimo esprima l'essenza intima, l'in-sé del mondo, che noi, muovendo dalla sua manifestazione più limpida, significhiamo sotto il concetto di volontà; e l'esprima in una materia particolare, ossia con semplici suoni, con la massima determinatezza e verità. E d'altra parte, secondo io vedo e tendo, la filosofia non è se non compiuta, esatta riproduzione ed espressione dell'essenza del mondo, in concetti molto generali; sol con questi potendosi avere una visione, per ogni verso sufficiente e servibile, di tutta quell'essenza. Chi adunque m'ha seguito ed è penetrato nel mio pensiero, non mi troverà tanto paradossale, quando dico che, posto si potesse dare una spiegazione della musica, in tutto esatta, compiuta e addentrantesi nei particolari, ossia riprodurre estesamente in concetti ciò ch'ella esprime, questa sarebbe senz'altro una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in concetti; oppur le equivarrebbe in tutto, e sarebbe così la vera filosofia. Né il motto di Leibniz sopra citato, giustissimo da un inferior punto di vista, suonerebbe paradossale venendo a esser parodiato nel senso della nostra superiore concezione della musica, così: Musica est exercitium metaphysices occultum nescientis se philosophari animi. Imperocché scire, sapere, significa sempre aver deposto la conoscenza in concetti astratti. E poi che la musica, per la verità da più parti confermata del motto leibniziano, non è altro, astraendo dal suo significato estetico, o interno, e guardandola in modo affatto esteriore ed empirico, che il mezzo di afferrar direttamente, e in concreto, numeri più grandi e relazioni numeriche più complesse, quali di solito possiam conoscere solo indirettamente per mezzo di concetti, ne viene che, riunendo quelle due sì diverse e pure esatte concezioni della musica, possiamo farci un concetto sulla possibilità d'una filosofia dei numeri, qual era quella di Pitagora e anche dei Cinesi nel Y-King; e in questo senso interpretare il detto di Pitagora riferito da Sesto Empirico (adv.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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