Questo reale mondo della conoscibilità, nel quale noi stiamo e che sta in noi, rimane non soltanto materia, ma limite del nostro studio: ed è sì ricco di contenuto, che non potrebbe esaurirlo neppur l'indagine più profonda, di cui fosse capace lo spirito umano. Poiché adunque il mondo reale, conoscibile, non lascerà mai argomento e realtà venir meno alle nostre considerazioni etiche, come già non ne lasciò mancare alle considerazioni precedenti; nulla ci sarà più inutile che il far ricorso a vuoti, negativi concetti, e poi far credere a noi stessi d'aver detto qualcosa, quando con solenne cipiglio abbiam parlato d'«assoluto», d'«infinito», di «soprasensibile», e di quant'altre pure negazioni consimili possan darsi ancora (????? ????, ? ?? ??? ????????? ?????, ???? ??????? ????????.— nihil est, nisi negationis nomen, cum obscura notione. Jul. or. 5); in luogo delle quali si potrebbe dir, più brevemente, «nubicuculia» (??????????????). Piatti di tal fatta, ben coperti ma vuoti, non avremo noi bisogno di mettere in tavola. Insomma, anche qui come per il passato ci guarderemo dal raccontare storie gabellandole per filosofia. Imperocché noi siamo d'avviso, che da una filosofica cognizione del mondo sia oltre ogni misura lontano chi pensi di poterne coglier l'essenza, e sia pur sotto i più bei trucchi, storicamente. E questo è il caso, non appena nel concetto, che colui ha del mondo in sé, venga a trovarsi un qualsiasi divenire, o esser divenuto, o esser per divenire; e un prima e poi acquisti la pur minima importanza, e quindi in modo palese o nascosto si cerchi e trovi un principio e una fine del mondo, e una via da quello a questa.
| |
|