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      Nascita e morte toccano per l'appunto al fenomeno della volontà, ossia alla vita; e di questa è proprio il manifestarsi in individui, i quali nascono e periscono come effimere apparenze, palesantisi nella forma del tempo, di ciò che in sé nessun tempo conosce, ma deve tuttavia nel modo suddetto manifestarsi, per oggettivare il suo vero essere. Nascita e morte toccano in egual maniera alla vita, e si fanno equilibrio come reciproche condizioni l'una dell'altra: o, se si preferisce il termine, come poli di tutto il fenomeno vitale. La più saggia di tutte le mitologie, l'indiana, ciò esprime attribuendo a quel medesimo Dio, che simboleggia la distruzione e la morte (come Brama, il più peccaminoso e basso Dio della Trimurti, simboleggia la generazione, la nascita, e Visnu la conservazione), attribuendo a Shiva, dico, in pari tempo il collare di teschi ed il Lingam, simbolo della generazione, la quale si presenta quivi adunque come adeguamento della morte. La qual cosa significa, che generazione e morte sono per natura correlati, che a vicenda si neutralizzano e sopprimono. Ed è lo stesso pensiero, che Greci e Romani indusse a ornare i preziosi sarcofagi come ancora li vediamo, con feste, danze, nozze, cacce, lotte d'animali, baccanali, ossia con rappresentazioni del più impetuoso ardore vitale: ardore che non solo essi ci mostrano in codeste scene festive, ma perfino in gruppi voluttuosi, arrivando fino all'accoppiamento di satiri e di capre. Loro scopo era palesemente quello di rivolgere la mente dalla morte dell'individuo compianto all'immortal vita della natura, e con ciò indicare, sia pure senz'averne astratta conscienza, che tutta la natura è fenomeno ed anche adempimento della volontà di vivere.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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