In ciascun animale ha ella il suo centro: ogni animale ha trovato sicuramente la propria via dell'essere, come sicuramente la troverà per uscirne: frattanto vive senza tema di annientamento e libero da preoccupazioni, sorretto dalla conscienza di essere egli la natura medesima, e come lei eterno. Soltanto l'uomo trae seco in concetti astratti la certezza della propria morte: tuttavia questa, ed è molto strano, può angustiarlo solo per momenti isolati, quando una circostanza la richiama alla fantasia. Contro la poderosa voce della natura può la riflessione ben poco. Anche in lui, come nell'animale che non pensa, impera come durevole stato quella certezza, proveniente dalla più intima conscienza, ch'egli è la natura, è il mondo medesimo; per la qual certezza il pensiero della morte sicura e mai lontana nessun uomo inquieta visibilmente, che ciascuno invece vive come dovesse vivere in eterno. E questa condizione di cose va tanto lontano, da potersi dire che nessuno abbia una vera, vivente persuasione della certezza della propria morte, perché altrimenti non potrebb'essere una sì gran differenza tra la sua disposizione d'animo e quella d'un condannato a morte; ma che l'uomo, pur riconoscendo quella certezza in abstracto e teoricamente, la mette in disparte come altre verità teoriche, inservibili nella pratica, senza punto accoglierla nella sua vivente conscienza. Chi ben consideri questa particolarità dello spirito umano, vedrà che le sue spiegazioni psicologiche, fondate sull'abitudine o sull'adattamento all'inevitabile, non sono in nessun modo sufficienti, e che la ragione è quella, più profonda, indicata.
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