Con quella va pur spiegato, perché in tutti i tempi, presso tutti i popoli si trovino e stiano in onore dogmi d'un qualsivoglia perdurar dell'individuo dopo la morte, sebbene le prove dovessero sempre esserne insoddisfacenti, mentre forti e numerose son le prove del contrario; anzi, il contrario veramente non ha bisogno di prove, bensì da un intelletto sano vien riconosciuto come un fatto, e come tale confermato dalla fiducia, che la natura né smentisce né erra, ma la sua azione e il suo essere apertamente manifesta, o addirittura ingenuamente esprime: mentre siamo noi stessi che col nostro vaneggiare l'intorbidiamo, per ricavarne arzigogolando ciò che ai nostri occhi miopi per l'appunto si confà.
Ma la verità, che ora abbiamo recata a chiara conscienza, che, per quanto il singolo fenomeno della volontà abbia nel tempo principio e nel tempo fine, la volontà stessa come cosa in sé non viene da ciò punto toccata, e neppure il correlato d'ogni oggetto, il conoscente e mai conosciuto soggetto; e similmente il fatto che alla volontà di vivere è sempre certa la vita: tutto ciò non va confuso con quelle dottrine della persistenza individuale. Imperocché alla volontà, considerata come cosa in sé, com'anche al puro soggetto del conoscere, all'eterno occhio del mondo, non tocca un perdurare più che non tocchi un perire, queste essendo determinazioni che valgono solamente nel tempo, mentre quelli stanno fuori del tempo. Perciò l'egoismo dell'individuo (di questo singolo fenomeno della volontà illuminato dal soggetto del conoscere) può dalla nostra concezione suesposta tanto poco alimento e conforto ricavare per il suo desiderio di esistere in un tempo infinito, quanto poco ne ricava dal conoscer che dopo la sua morte il rimanente mondo esterno seguiterà nondimeno a esistere nel tempo; il che esprime proprio la stessa concezione di sopra, ma da un punto di vista oggettivo e quindi temporale.
| |
|