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      Imperocché è bensì vero, che ogni individuo è effimero solo in quanto fenomeno, mentre come cosa in sé è fuori del tempo, e perciò non ha fine; ma pur soltanto come fenomeno è distinto dalle altre cose del mondo, mentre come cosa in sé esso è la volontà, che in tutto si palesa, e la morte cancella l'illusione che separa la sua conscienza dall'universale: questa è la vera eternità. Il suo non esser toccato dalla morte è proprietà di lui in quanto cosa in sé, mentre per il fenomeno coincide col permanere del rimanente mondo esteriore38. Da ciò procede che l'intima conscienza, non altro che sentita, di quanto abbiamo or ora elevato a chiara cognizione, impedisce bensì, come s'è detto, che il pensiero della morte avveleni la vita al consapevole essere razionale, essendo tale conscienza la base di quell'ardore vitale, che sorregge ciascun vivente, e lo fa procedere animoso nell'esistenza, quasi morte non fosse, almeno fin tanto ch'egli ha la vita innanzi agli occhi e alla vita è rivolto; ma non impedisce tuttavia che quando la morte si presenta all'individuo o nella realtà o anche soltanto nella fantasia, e questo deve guardarla in faccia, un tremendo terrore lo colga, ed esso cerchi in tutte le maniere di sfuggire. Perché al modo che quando la sua conoscenza era rivolta alla vita come tale, doveva di questa riconoscer l'eternità, così, quando la morte gli si fa innanzi, deve riconoscerla per quel ch'essa è, la temoral fine del singolo fenomeno temporale. Ciò che temiamo nella morte, non è punto il dolore: in parte, perché questo sta di qua dalla morte; in parte, perché sovente dal dolore ci rifugiamo nella morte, come d'altronde all'opposto affrontiamo talvolta il più atroce dolore, sol per isfuggire un momento alla morte, fosse pur rapida e lieve.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368