In questo senso non può non solo la volontà in sé, ma perfino l'uomo esser chiamato libero, e distinto così da tutti gli altri esseri. Ma, come ciò sia da intendere, apparirà chiaro nel seguito; e per adesso ancora dobbiamo lasciare del tutto in disparte questo argomento. Imperocché preme piuttosto mettere in guardia contro l'errore, che le operazioni dell'uomo singolo, determinato, non siano soggette a necessità di sorta, ossia la forza del motivo sia meno certa che la forza della causa, ovvero la conseguenza dedotta dalle premesse. La libertà della volontà come cosa in sé non si trasmette punto in modo diretto al suo fenomeno, prescindendo, come s'è detto, dal caso accennato più sopra, che fa eccezione; neppur là dove essa raggiunge il grado massimo di visibilità, ossia neppure all'animale ragionevole, che abbia carattere individuale, cioè alla persona. Questa non è mai libera, per quanto sia fenomeno di una libera volontà; perché appunto di tal libero volere ella è già il fenomeno determinato; e con l'entrar, che questo fa nella forma di tutti gli oggetti, nel principio di ragione, frange l'unità di quella volontà in una pluralità di azioni, la quale non di meno a causa dell'unità, sita fuor del tempo, di quel volere in sé, si presenta regolare come una forza di natura. Ma poiché tuttavia quel libero volere è, che si rende visibile nella persona e in tutta la sua condotta, stando a questa come il concetto sta alla definizione, così va pure ogni singolo atto della persona medesima attribuito alla libera volontà, e come tale s'annunzia immediatamente alla conscienza: perciò, com'è detto nel libro secondo, si ritiene ognuno libero a priori (ossia, nel caso attuale, in virtù del suo sentimento originario) in tutte le azioni sue; nel senso che a lui, in ciascun dato caso, ogni azione sia possibile.
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