Nel mentre io rinvio adunque il lettore a quello scritto, e così pure al cap. 10 della memoria sui problemi fondamentali dell'etica, pubblicata insieme con l'altra sotto il titolo I due problemi fondamentali dell'etica, tralascio qui l'imperfetta argomentazione sulla necessità degli atti volitivi, data nella prima edizione; e voglio invece chiarire ancora con una breve spiegazione l'inganno esposto più sopra, che ha come premessa il 19° capitolo del nostro secondo volume e non poteva quindi trovarsi nella memoria citata.
Se prescindiamo dal fatto, che essendo la volontà, come vera cosa in sé, per sua natura alcunché di originario e di indipendente, deve anche nell'autoconscienza il sentimento di quella originarietà e indipendenza accompagnare i suoi atti, sebbene essi quivi siano già determinati – l'illusione d'una libertà empirica del volere (in luogo della libertà transcendentale, che solo gli si può attribuire), proviene dalla situazione isolata e subordinata dell'intelletto di fronte alla volontà: situazione esposta nel capitolo 19° del secondo volume, specialmente al numero 3. Perché l'intelletto apprende le risoluzioni della volontà solo a posteriori, ed in maniera empirica. Quindi non ha, al momento di scegliere, nessun dato per saper ciò che la volontà deciderebbe. Non entra nella conoscenza dell'intelletto il carattere intelligibile, in virtù del quale, dati questi o quei motivi, una sola decisione è possibile, e perciò necessaria; ma soltanto il carattere empirico gli divien noto a grado a grado, per i suoi singoli atti.
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