Sarebbe, così, o la volontà un semplice fenomeno, oppure il tempo una determinazione della cosa in sé. Quindi la contesa intorno alla libertà dell'azione individuale, intorno al liberum arbitrium indifferentiae, rientra propriamente nella quistione se la volontà stia o no nel tempo. Se ella, come appar dimostrato dalla dottrina kantiana e da tutta la mia esposizione, è la cosa in sé, fuori del tempo e d'ogni altra forma del principio di ragione, non soltanto deve l'individuo agire in egual modo in casi eguali, non soltanto ogni sua mala azione sarà sicura garanzia d'altre innumerevoli, che egli deve compiere e non può tralasciare: ma ben si potrebbe anche, come dice Kant, sol che fossero conosciuti appieno il carattere empirico e i motivi, prevedere il futuro, come si prevedono eclissi di sole o di luna. Come è conseguente la natura, così è il carattere: ciascuna singola azione deve essergli conforme, come ogni fenomeno accade secondo la legge naturale: la causa, nel fenomeno, e il motivo, nell'azione, sono semplicemente gli impulsi occasionali, com'è dimostrato nel secondo libro. La volontà, di cui è fenomeno l'intero essere e l'intera vita dell'uomo, non può in un caso particolare venir meno a se stessa, e ciò che l'uomo vuole in complesso, vorrà pur sempre di volta in volta.
L'affermazione d'una libertà empirica del volere, d'un liberi arbitrii indifferentiae, è strettissimamente connessa col fatto d'aver posto l'essenza dell'uomo in un'anima, la quale in origine sarebbe un essere conoscente, anzi proprio astrattamente pensante, e solo in seguito anche un essere volitivo: attribuendo così alla volontà natura secondaria, mentre secondaria è invece la conoscenza.
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Kant
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