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      Che mentre l'animale vien sempre mosso da una rappresentazione esclusivamente intuitiva, s'affatica l'uomo ad escludere del tutto questo genere di motivazione, e farsi condurre soltanto da rappresentazioni astratte; traendo in ciò tutto il possibile vantaggio dal suo privilegio della ragione, e, senza dipender dal presente, non già l'effimero godimento o dolore scegliendo o fuggendo, ma considerando dell'uno e dell'altro le conseguenze. Nella più parte dei casi, all'infuori delle azioni affatto insignificanti, ci determinano motivi astratti, pensati, e non già impressioni momentanee. Quindi è per noi ogni singola privazione abbastanza lieve a sopportare nel momento, ma orribilmente grave ogni rinunzia: perché quella tocca soltanto l'attimo che fugge, questa invece tocca l'avvenire, e chiude in sé privazioni innumerevoli, delle quali è l'equivalente. La causa del nostro dolore, come della nostra gioia, per lo più non sta adunque nel reale presente, ma sol negli astratti pensieri: sono questi, che spesso ci gravano insopportabilmente, e creano pene, di fronte alle quali assai piccole sono tutte le sofferenze dell'animalità, poi che il nostro stesso dolore fisico non viene spesso neppur sentito vicino a quelle; ed anzi, soffrendo di violenti dolori morali, noi ci produciamo dolori fisici solo per distogliere con ciò dai primi l'attenzione: tale è il motivo per cui, nel massimo dolore morale, ci strappiamo i capelli, battiamo il petto, laceriamo il volto, rotoliamo per terra; tutte cose che propriamente non sono se non violente distrazioni da un pensiero che pare intollerabile.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368