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      Da ciò appunto è spiegata la soddisfazione oppure l'angoscia, con cui guardiamo indietro al cammino percorso nella nostra vita: soddisfazione e angoscia non procedono dall'esistere tuttora quelle azioni trapassate; che esse sono svanite, furono e non sono più; ma la lor grande importanza per noi proviene dal loro significato, proviene dall'esser codeste azioni l'immagine del carattere, lo specchio della volontà, contemplando il quale noi conosciamo il nostro più intimo io, il nocciolo della nostra volontà. Poiché questo non ci è noto in antecedenza, ma soltanto dopo, ci tocca affaticarci e combattere nel tempo, affinchè l'immagine, che veniamo a creare con le nostre azioni, riesca tale, che la sua vista ci rassereni il più possibile, e non ci travagli. Ma il valore di questa serenità o angoscia sarà, come dicemmo, indagato in appresso. A questo luogo spetta invece ancora la seguente, per sé stante, considerazione.
      Accanto al carattere intelligibile e all'empirico ne va ricordato un terzo, da entrambi diverso, il carattere acquisito, che si acquista vivendo, con l'uso del mondo; e di questo si parla, quando un uomo è lodato per aver carattere, o biasimato per mancarne. Si potrebbe in verità ritenere, che il carattere empirico, come fenomeno del carattere intelligibile, essendo immutabile, e, come ogni fenomeno naturale, in sé conseguente, anche l'uomo dovrebbe similmente apparir sempre eguale a se stesso e conseguente; né aver quindi necessità di acquistare artificialmente un carattere mediante esperienza e riflessione.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368