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      Solo per esperienza possiamo apprendere ciò che vogliamo e ciò che possiamo; prima, non lo sappiamo, non abbiamo carattere e dobbiamo sovente venir rigettati, da duri urti esteriori, sulla nostra via. E quando alla fine l'abbiamo appreso, allora s'è conseguito quel che nel mondo si chiama carattere, ossia il carattere acquisito. Il quale non è altro che la conoscenza il più possibile compiuta della propria individualità: è l'astratta, e quindi limpida consapevolezza del proprio carattere empirico, e della misura e direzione delle sue capacità intellettuali e corporee, ovvero di tutte le forze e debolezze della propria individualità. Questo ci mette in grado di adempiere con riflessione e metodo il compito individuale, in sé immutabile, che per l'innanzi sregolatamente abbandonavamo alla natura; e le lacune, che capricci o debolezze nostre producevano, riempire con l'aiuto di saldi concetti. La condotta, resa assolutamente necessaria dalla nostra natura individuale, veniamo a formularla in massime chiaramente conosciute, a noi ognora presenti, secondo le quali noi quella pratichiamo sì consapevolmente, come fosse una condotta appresa, senza mai venir confusi da una passeggera disposizione o da un'impressione momentanea, senza venire inceppati dall'amaro o dal dolce di un singolo incidente occorso per via, senza incertezza, senza esitazione, senza inconseguenze. Non più, come novizi, aspetteremo, proveremo, andremo a tentoni, per vedere ciò che propriamente vogliamo e ciò che possiamo; questo ci è noto una volta per sempre, in ogni scelta abbiamo principii generali da applicare ai casi singoli, e subito veniamo alla decisione.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368