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      Conosciamo la nostra volontà in genere, e non ci lasciamo sviare né da disposizioni fugaci né da pressioni esterne, a prendere in un caso particolare una decisione che sia contraria alla nostra volontà generica. Conosciamo egualmente la natura e la misura delle nostre forze e delle nostre debolezze, e ci risparmieremo così molti dolori. Che in verità non esiste godimento se non nell'uso e sentimento delle proprie forze, e il maggior dolore è la riconosciuta mancanza di forze, là dove se n'avrebbe bisogno. Avendo bene indagato dove le nostre forze stiano, e dove le nostre debolezze, svilupperemo, useremo, cercheremo di adoprare in tutti i modi le nostre spiccate naturali attitudini, sempre volgendoci dalla parte ove queste giovano e hanno valore; ma rigidamente e con dominio di noi stessi evitiamo gli sforzi, a cui da natura abbiamo poche disposizioni: ci guarderemo dal tentar ciò che in nessun modo ci riuscirebbe. Solo chi è giunto a questo, sarà sempre con piena consapevolezza tutto intero se stesso, né mai da se stesso sarà lasciato in asso, poi che sempre ha saputo di che fosse capace. Proverà dunque sovente la gioiadi sentire le proprie forze, e raramente avrà il dolore d'esser richiamato alle proprie debolezze: umiliazione che forse produce il peggior dolore morale. Molto meglio si può sopportare di veder limpidamente la propria sfortuna, che la propria inettitudine. Una volta che noi siamo resi consapevoli appieno delle nostre forze e debolezze, non tenteremo più di mostrare capacità che non abbiamo, non giocheremo con falsa moneta, perché alla fine codesta ciurmeria vien pure a fallire.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368