Pagina (205/368)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Essendo l'uomo intero un semplice fenomeno della sua volontà, nulla può darsi di più stolto che, rimuovendosi dalla riflessione, voler esser altro da quel che si è: poi che gli è una diretta contraddizione della volontà da se medesima. Imitare qualità e caratteristiche altrui è molto più vile che portare altrui vesti: che il giudizio sulla nostra insignificanza viene così pronunziato da noi stessi. Conoscenza della propria natura e delle sue capacità d'ogni maniera e dei suoi inalterabili confini è sotto questo rispetto la più sicura via, per arrivare alla maggior possibile soddisfazione di se medesimo. Imperocché vale per le circostanze interne, quel che vale per le esterne, non essere a noi nessun conforto più efficace che la piena certezza dell'immutabile necessità. Non tanto ci strazia un male, che ci abbia colti, quanto il pensiero delle circostanze, le quali avrebbero potuto stornarlo; nulla quindi conferisce a tranquillarci, come il considerar l'accaduto dal punto di vista della necessità, secondo cui tutti gli eventi accidentali appariscono strumenti d'un sovrano destino, sì che noi riconosciamo il male occorsoci come prodotto ineluttabilmente dal conflitto di circostanze interne ed esterne. Il fatalismo, adunque. In verità noi ci lamentiamo e infuriamo sol fin quando abbiamo speranza con ciò o di influire su altri, o di eccitare noi stessi ad uno sforzo inaudito. Ma ragazzi e adulti sanno benissimo rassegnarsi, non appena vedano chiaramente che il male è irreparabile:


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368