Agli amari capitoli, in cui è raccomandata la cognizione di sé, si applica eccellentemente il distico ovidiano:
Optimus ille animi vindex laedentia pectusVincula qui rupit, dedoluitque semel.
E ciò basti intorno al carattere acquisito, il quale invero non tanto importa per l'etica propriamente detta, quanto per la vita sociale; ma la cui illustrazione andava qui posta presso quella del carattere intelligibile e dell'empirico, come terza specie coordinata. Sulle prime abbiamo dovuto indugiare con un esame alquanto più esteso, per renderci chiaro come la volontà sia in tutti i suoi fenomeni soggetta alla necessità, pur potendo nondimeno esser chiamata in se stessa libera, anzi onnipotente.
§ 56.
Questa libertà, questa onnipotenza, di cui l'intero mondo visibile, suo fenomeno, è manifestazione ed immagine, e progressivamente si svolge secondo le leggi che porta seco la forma della conoscenza – può anche, e propriamente là ove a lei, nel suo più perfetto fenomeno, è venuta la conoscenza in tutto adeguata del suo proprio essere, novellamente manifestarsi: o nel volere ancor qui, al vertice della riflessione e della consapevolezza di sé, quel che già da cieca e di sé inconscia voleva, e in tal caso la conoscenza, sia particolare, sia generale, rimane per lei sempre motivo; oppur, viceversa, codesta conoscenza diventa a lei un quietivo, il quale ogni volere sopisce e cancella. Si ha così l'affermazione o negazione, già più sopra genericamente stabilita, della volontà di vivere; la quale, essendo rispetto alla condotta dell'individuo una generica, non particolare manifestazione della volontà, non altera con modificazioni lo sviluppo del carattere, né trova la sua espressione in singoli atti; bensì o con un sempre più forte rilievo di tutta la condotta precedente, o all'opposto con la soppressione di quella, esprime in forma vivente la massima che, dietro conoscenza alfine raggiunta, la volontà liberamente ha fatto sua.
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