Il più chiaro svolgimento di tutto ciò, principal soggetto di quest'ultimo libro, ci è ora alquanto alleviato e preparato dalle considerazioni sulla libertà, sulla necessità e sul carattere, che sono venute qui a intercalarsi; ma più sarà, se, discostandosi ancora una volta dal soggetto primo, avremo innanzi rivolta la nostra attenzione alla vita medesima, volere o non voler la quale è la grande quistione. E ciò in maniera, da cercar di conoscere in generale, che cosa propriamente venga alla volontà medesima, la quale in tutto è di questa vita la più intima essenza, dalla propria affermazione, e come e fino a che punto tale affermazione l'appaghi, anzi possa appagarla; in breve, che cosa genericamente e sostanzialmente sia da considerare come suo stato in questo mondo che è suo, ed a lei sotto ogni rispetto appartiene.
In primo luogo desidero, che si richiami qui la considerazione con cui abbiamo chiuso il secondo libro, indottivi dalla domanda colà formulata, intorno alla meta e allo scopo della volontà. Invece di trovar risposta, ci risultò evidente che la volontà, in tutti i gradi del suo fenomeno, dai più bassi ai più alti, manca affatto d'un fine ultimo e d'uno scopo; continuamente aspira, perché aspirare è la sua unica essenza, a cui non pone termine alcun fine raggiunto; non è quindi capace d'alcun appagamento finale, e solo per una costrizione può esser trattenuta, ma in sé si estende nell'infinito. Questo vedemmo nel più semplice di tutti i fenomeni naturali, nella gravità, che non ha posa nel tendere e non cessa di premere verso un punto centrale senza estensione, il cui raggiungimento segnerebbe l'annientarsi di essa e della materia: non cessa, foss'anche l'universo tutto concentrato in una densa sfera.
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