Ciascun respiro rimuove la morte ognora premente, con la quale noi veniamo così a combattere in tutti i minuti; come la combattiamo, a maggiori intervalli, con ciascun pasto, ciascun sonno, ciascun riscaldamento, e così via. Alla fine la morte deve vincere: perché a lei apparteniamo già pel fatto d'essere nati, ed ella non fa che giocare alcun tempo con la sua preda, prima d'inghiottirla. Frattanto continuiamo la nostra vita con grande interesse e gran cura, fin quando è possibile, come si gonfia più a lungo e più voluminosamente che si può una bolla di sapone, pur con la ferma certezza che scoppierà.
Già vedemmo la natura priva di conoscenza avere per suo intimo essere un continuo aspirare, senza meta e senza posa; ben più evidente ci apparisce quest'aspirazione considerando l'animale e l'uomo. Volere e aspirare è tutta l'essenza loro, affatto simile a inestinguibile sete. Ma la base d'ogni volere è bisogno, mancanza, ossia dolore, a cui l'uomo è vincolato dall'origine, per natura. Venendogli invece a mancare oggetti del desiderio, quando questo è tolto via da un troppo facile appagamento, tremendo vuoto e noia l'opprimono: cioè la sua natura e il suo essere medesimo gli diventano intollerabile peso. La sua vita oscilla quindi come un pendolo, di qua e di là, tra il dolore e la noia, che sono in realtà i suoi veri elementi costitutivi. Tal condizione s'è dovuta singolarmente esprimere anche col fatto, che quando l'uomo ebbe posti nell'inferno tutti i dolori e gli strazi, per il cielo non rimase disponibile se non appunto la noia.
| |
|