Imperocché quel che fuori di ciò si potrebbe chiamar la parte più bella, la più pura gioia della vita, appunto perché ci solleva sull'esistenza reale e ci trasmuta in sereni spettatori di questa: ossia il puro conoscere, cui ogni volere è estraneo, il godimento del bello, il genuino piacere dell'arte, richiedendo attitudini già rare, è dato solo a pochissimi, ed anche a' pochissimi soltanto come un effimero sogno. E la più elevata forza intellettuale fa proprio costoro capaci di ben maggiori sofferenze, di quante non possano mai sentire i più ottusi, e inoltre solitarii li lascia tra esseri molto da loro diversi: sì che pur quel vantaggio si compensa. Ma alla più parte degli uomini sono le gioie puramente intellettuali inaccessibili; del piacere, che consiste nel puro conoscere, sono quasi affatto incapaci: in tutto sono confinati nel volere. Quindi, se cosa alcuna vuol destar la loro attenzione, esser per loro interessante, deve (e ciò è insito nel valore stesso della parola) stimolare in qualche modo la loro volontà, sia pur soltanto per un remoto e anche meramente possibile rapporto con lei; la volontà non può mai restare affatto fuori del gioco, perché l'esser loro sta di gran lunga più nel volere che nel conoscere: azione e reazione è il loro unico elemento. Le ingenue manifestazioni di questa lor natura si possono cogliere anche in piccolezze e in fatti ordinari: per esempio, scrivono nei luoghi notabili, che vanno a visitare, il loro nome, per così reagire, per agire sul luogo, poi che il luogo non ha agito su di loro; inoltre non sanno facilmente contentarsi di contemplare un esotico, raro animale, ma devono stuzzicarlo, provocarlo, scherzare con esso, per sentire nient'altro che azione e reazione.
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