Entrambi sono prodotti, come or ora vedemmo, non dal puro presente, ma da anticipazione dell'avvenire. Ed essendo il dolore alla vita essenziale, ed anche, nel suo grado, determinato dalla natura del soggetto, sì che subitanee modificazioni non possono, essendo sempre esteriori, mutare veramente quel grado; ne viene, che all'eccessivo giubilo o dolore sempre è base un errore e vaneggiamento: onde quelle due sovreccitazioni dell'animo si potrebbero evitar con l'intendimento. Ogni immoderato giubilo (exultatio, insolens laetitia) poggia sempre sull'illusione d'aver trovato alcunché nella vita, che non vi si può punto trovare, ossia durevole riposo dei torturanti, ognora rinascenti desideri o affanni. Da ogni singola illusione di tal fatta bisogna più tardi inevitabilmente far ritorno, e poi, quando scompare, pagarla con dolori altrettanto amari, per quanto gioia aveva recato il suo apparire. Somiglia sotto questo rispetto interamente ad un'altura, dalla quale si possa venir giù solo cadendo; perciò la si dovrebbe evitare: ed ogni improvviso, immoderato dolore è proprio nient'altro che la caduta da una cotale altezza, lo svanire d'una tale illusione: e quindi questa è condizione di quello. Si potrebbero perciò evitare entrambi, qualora si avesse sopra di sé il potere di veder con tutta chiarezza le cose, sempre nel loro complesso e nella lor connessione, e fermamente guardarsi dall'attribuir loro in effetti il colore, che si vorrebbe avessero. L'etica stoica mirava soprattutto a liberar l'animo da tutta codesta illusione e dalle sue conseguenze, e dargli invece incrollabile imperturbabilità. Di quest'intendimento è pieno Orazio, nella celebre ode:
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Orazio
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