Imperocché l'agitazione e il tormento della giornata, l'incessante ironia dell'attimo, il volere e il temere della settimana, gli accidenti sgradevoli d'ogni ora, per virtù del caso ognora intento a brutti tiri, sono vere scene di commedia. Ma i desideri sempre inappagati, il vano aspirare, le speranze calpestate senza pietà dal destino, i funesti errori di tutta la vita, con accrescimento di dolore e con morte alla fine, costituiscono ognora una tragedia. Così, quasi il destino avesse voluto aggiungere lo scherno al travaglio della nostra esistenza, deve la vita nostra contenere tutti i mali della tragedia, mentre noi non riusciamo neppure a conservar la gravità di personaggi tragici, e siamo invece inevitabilmente, nei molti casi particolari della vita, goffi tipi da commedia.
Ma per quanto i grossi e piccoli tormenti riempiano ogni vita umana, tenendola in perenne inquietudine e moto, non possono tuttavia coprir l'insufficienza della vita rispetto alla soddisfazione dello spirito, e il vuoto e l'insulsaggine dell'esistenza, né bandire la noia, ch'è sempre pronta a empire ogni pausa lasciata dall'angoscia. Di là è venuto, che lo spirito umano, non ancora contento delle angosce, amarezze e occupazioni impostegli dal mondo reale, si crea per di più, in forma di mille variate superstizioni, un mondo immaginario, col quale si affatica in tutti i modi, dissipandovi e tempo e forze, non appena il mondo reale gli lasci un riposo ch'egli non sa gustare. Codesto è anche spessissimo, in origine, il caso di quei popoli, cui la dolcezza del clima e del suolo fa agevole la vita; soprattutto degli Indù, e poi dei Greci, dei Romani, e più tardi degl'Italiani, Spagnuoli e così via.
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