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      Fin dall'inizio della sua conscienza, l'uomo si trova in atto di volere, e la sua conoscenza rimane di regola in costante relazione con la sua volontà. Egli cerca dapprima di conoscere appieno gli oggetti del volere, quindi i mezzi per raggiungerli. Fatto questo, sa quel che gli tocca di fare, e d'ordinario non tende ad altro sapere. Attivamente agisce: la conscienza di lavorar sempre per lo scopo della sua volontà lo regge e mantiene operoso: il suo pensiero va soltanto alla scelta dei mezzi. Tale è la vita di quasi tutti gli uomini: vogliono, sanno ciò che vogliono, vi tendono con tanto successo, quanto basta a proteggerli dalla disperazione, e con tanto insuccesso, quanto occorre a proteggerli dalla noia e dalle sue conseguenze. Di là viene una certa letizia, o almeno tranquillità, a cui né ricchezza né povertà nulla propriamente tolgono: che il ricco e il povero godono non ciò ch'essi hanno, che, come s'è mostrato, agisce sol negativamente; ma ciò che con la loro attività sperano di conseguire. Vanno innanzi dandosi da fare, con molta gravità, e anzi con aria d'importanza: non altrimenti fanno i loro giuochi i ragazzi. È sempre un'eccezione, quando il corso d'una tal vita è deviato per effetto d'un conoscere indipendente dal servigio della volontà, e rivolto all'essenza del mondo in genere: sia che se ne produca il bisogno estetico della contemplazione, o il bisogno morale della rinunzia. I più incalza attraverso l'esistenza il travaglio, senza lasciare loro tempo a riflessione.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368