Invero l'autor dell'ingiustizia, mediante assalto non dell'altrui corpo, ma di una cosa inanimata, da quel corpo affatto diversa, irrompe tuttavia nella sfera dell'altrui affermazione di volontà, solo in quanto con la cosa sono quasi confuse e identificate le forze e l'attività del corpo stesso. Ne segue che ogni genuino, ossia ogni morale diritto di proprietà, poggia in origine unicamente sull'acquisto mediante il lavoro; come già s'ammetteva press'a poco generalmente anche prima di Kant, e addirittura come già esprime chiaramente e bellamente il più antico di tutti i codici: «I saggi, cui è nota l'antica età, dichiarano che un campo coltivato appartiene a colui il quale ne rimosse gli sterpi, lo nettò ed arò; come un'antilope appartiene al primo cacciatore che l'abbia ferita a morte» – Leggi Manu, IX, 44. Solo con l'affievolimento senile di Kant posso spiegarmi tutta la sua dottrina del diritto, singolare intreccio di errori germinati l'un dall'altro, ed il fatto ch'egli voglia fondare il diritto di proprietà sulla presa di possesso. Come mai potrebbe la semplice affermazione della mia volontà, d'escluder altri dal possesso d'una cosa, costituire a ciò un immediato diritto? È chiaro, che quest'affermazione abbisogna alla sua volta d'una base di diritto; mentre invece Kant ammette ch'ella sia un diritto di per sé. E in qual modo allora agirebbe con ingiustizia, nel significato morale, colui il quale non rispettasse quelle pretese all'esclusivo possesso di un oggetto, fondate unicamente sulla lor propria dichiarazione?
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