Il concetto di diritto, come negazione dell'ingiusto, ha nondimeno trovato la sua principale applicazione, e senza dubbio anche la sua prima origine, nei casi in cui tentata ingiustizia viene impedita con violenza: il quale impedimento alla sua volta non può essere ingiustizia, bensì è diritto: anche se la violenza impiegatavi, considerata in se stessa e isolatamente, sarebbe ingiustizia, e qui venga giustificata sol dal suo motivo, diventando diritto. Se un individuo nell'affermazione della sua volontà va tanto lontano, da irrompere nella sfera dell'affermazione di volontà inerente alla mia persona in quanto tale, e viene con ciò a negar l'affermazione mia, il mio difendermi da tale violenza è solo un negar quella negazione; e quindi, da parte mia, non altro è che l'affermar la volontà per essenza e originariamente manifestantesi nel mio corpo, e già implicite esprimentesi col semplice fenomeno del corpo stesso: non è quindi ingiustizia, bensì diritto. Il che vai quanto dire: io ho allora un diritto, di negar quella negazione con ogni forza atta a toglierla di mezzo; diritto che, si vede facilmente, può arrivare fino all'uccisione dell'individuo estraneo, il cui atto a mio danno, quale premente violenza esteriore, può essere impedito mediante una reazione alquanto più forte di esso, senza commettere ingiustizia di sorta, e quindi con diritto; imperocché tutto quanto vien fatto da parte mia sta sempre esclusivamente nella sfera dell'affermazione di volontà inerente alla mia persona come tale, e già in lei espressa (sfera che è il teatro della battaglia); né irrompe nella sfera altrui: sì che è solo negazione della negazione, ossia affermazione e non negazione.
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